Il senso della giornata contro l’omofobia

Il senso della giornata contro l’omofobia
 
Se qualcuno ruba, tutti (tranne i ladri, ovviamente) ritengono che questi debba essere perseguito, giudicato e, se ritenuto colpevole, punito. Idem se uccide, se stupra, se compie qualsivoglia crimine.
 
Questa non è acrimonia, non è cattivismo. Perché il reato viene ritenuto lesivo di quello che è un bene collettivo, perché ogni qualvolta lo si compie la ferita è inferta un po’ a tutta la società. Dunque il problema sta nel crimine. Giusto? Giusto.
 
Ma in casi come il razzismo, o come l’omofobia (la cui giornata di sensibilizzazione contro tale devianza si celebra oggi) cosa cambia? Qual è la caratura discriminante? E’ il percorso che dista tra la categorizzazione e il reato. Chi è omofobo, così come chi è razzista, non si concentra mai su un singolo atto (anche perché nel caso dei gay non vi sarebbe proprio la materia, a meno che si considera depravazione baciarsi in pubblico).
 
Al contrario si abbraccia una categoria a prescindere. Questo denota però un disagio personale: il poveretto è l’omofobo, ovviamente, non il gay. Il suo disagio lo porta a individuare una categoria appunto, una categoria indistinta cui riversare le proprie frustrazioni, umiliazioni. Se dovesse incanalare la propria ossessione verso una sola persona cadrebbe in un delirio a tema, mentre il suo obiettivo è potersi orizzontare in una città dove chiunque in potenza può essere un nemico e dove lui, in potenza, può risultare il diverso in positivo, dove può uscirne vincitore.
 
Dove h24 lui non si sente un reietto, non perché lo sia, ma perché è convinto di esserlo, e come nella noto assioma psicanalitico, finisce, comportandosi così, per esserlo davvero tramite la profezia che si autoavvera.
 
Per tornare all’esempio di prima: se un muratore ha ammazzato la moglie, tutti gli altri muratori non si sentono chiamati in causa, non sentono la necessità di far comunella per differenziarsi dall’edile galeotto, mentre laddove si etichetta una categoria, ecco che, per tutta risposta, i gay si trovano nella condizione paradossale di doversi difendere da quella che non può essere una guerra, primo perché non ci sono obiettivi da raggiungere e secondo perché non ci sono schieramenti.
 
E’ come se uno schizofrenico nutrisse idiosincrasie verso i glabri, sostenendo che sono contro natura perché i peli fan parte dell’essere umano e non aver barba o peluria sul petto equivale ad essere dei mezzi uomini. Ecco, questi saranno avvocati e operai, anziani e adolescenti, imprenditori e delinquenti (o imprenditori delinquenti) ma perché mai dovrebbero sentirsi uniti da qualcosa che non li identifica? Gli eterosessuali sono forse solidali tra di loro per questo? Ecco allora che, per poterla combattere, questa guerra, gli omofobi cercano di strutturare l’esercito avversario e lo fanno inscenando espressioni pittoresche, la più pregnante rimane: “La potentissima lobby gay“, quasi che, appunto, i gay abbiano impugnato l’ascia per intenti bellicosi per (evidentemente) sconfiggere tutti gli eterosessuali della terra. 
 
Giornate come queste, dunque, possono avere un senso, ma se guardate voltandosi. Non sono i gay che devono essere osservati, ma nemmeno per mostrar loro solidarietà (non sono scimmiette in gabbia allo zoo), nemmeno per portare all’attenzione la “lunga strada di diritti da compiere” come se fosse manifesta una disabilità da correggere con l’abbattimento delle barriere architettoniche esistenziali. 
 
Bisogna analizzare perché, oggi, esistono tanti complessi non risolti in persone che davvero andrebbero aiutare a non odiare. Occorrerebbe che qualcuno facesse loro capire che possono avere dei talenti, dei pregi ben superiori da quelli di credersi qualcuno a danno di qualcun altro. L’omofobia è una fobia, appunto, e come tale è insensata, è uno spettro che deteriora forse più chi lo vede in forma allucinatoria rispetto a chi si vede rappresentato, e va curato ora con la didascalia dove si inchiostra di ignoranza, ora con il tatto pedagogico dove esordisce con tratti patologici. Un po’ come l’anoressia, non è il cibo che deve sedere al banco degli imputati, e nemmeno lo stomaco, ma i conflitti sottesi.
 
Ecco, questa giornata è per queste persone. Per loro. Per tutti loro (e per tutti significa anche per qualche gay, ovviamente).
 
Matteo Salvatti