Oggi è il “Carbonara Day”, approfittiamone!

Oggi è il “Carbonara Day”, approfittiamone!

Ne parlano tutti i quotidiani nazionali in prima pagina. Ormai è già diventata una giornata sacra. Il 6 aprile. Il carbonara day.

Una giornata consacrata ad un piatto. Un motivo ci sarà. Uno? Più di uno, “hai voglia”, sentenzierebbero  nella capitale d’Italia, dove sono riusciti a fare di un piatto la sintesi di una città (non ci è riuscita Milano con il risotto, per intenderci, nè il trentino con i canederli, ce l’ha fatta invece Napoli con la pizza).

E’ uno dei miei piatti peferiti. Da sempre. Non nascondo che una delle gioie quando vado a Roma (ultimamente spesso per lavoro) è per fiondarmi a ingurgitare una carbonara. Mi eccita così tanto che anche ora che ne sto parlando non riesco a pensare al fluire delle parole e scrivo di getto, con la stessa voracità con la quale bisogna inghiottire il piatto di bucatini (che preferisco rispetto ai maccheroni o altra pasta corta).

Ultimamente (sempre a Roma) l’ho trovata con una variante curiosa: i carciofi. Dirò: non è così male, pensavo davvero peggio.

Certo la ricetta è una e quando la cucino per i miei ospiti a casa non transigo: pasta di qualità. Cottura al dente. Niente spaghetti ma bucatini. Niente grana (è stata inventata a Roma!) ma pecorino romano. Niente pancetta (ma guanciale). Pepe nero tritato al momento. Uova, come suggeriva il caro buon vecchio Nino Manfredi: “Uno de meno de quanti semo”. Tutto l’uomo, non solo il tuorlo. Niente acqua gasata, panna o altre bestemmie culinarie.

Quanto pecorino mettere dipende ovviamente dalla grandezza delle uova. La questione è semplice: non deve risultare una pappetta, ma nemmeno qualcosa di brodoso. Una via di mezzo.

Niente burro per soffriggere il guanciale che deve risultare croccante, ma olio extravergine. Un filo.

E’ un pasto straordinario, ricco di storia, dal momento che i pastori laziali in questo modo coprivano il fabbisogno con tutti i principali nutrienti.

Ora mi rendo conto che non ho scritto nulla di particolare, se non la ricetta che spadello io (sono convinto sia quella originale, ma potrei sbagliami, la mia amica Laura Palladini, romana doc, sostiene sempre che noi a Brescia non facciamo la carbonara, ce provamo!).

Dunque questo articolo non dice altro che, sentendo parlare di carbonara, è come se avessi sentito nominare il nome di una persona cara, e subito vi è venuta voglia di parlarne, come di qualcosa, anzi, di qualcuno che si conosce.

Quando parli di qualcuno ti sembra di averlo vicino. Ecco, un po’ vale anche per me con questo articolo. Una forma di compensazione. Un tributo.

Qualcuno obietterà: ma sono notizie da dare?  Ma sono argomenti da trattare? Certo, c’è qualcosa di molto più importante, nella vita. Tuttavia sarebbe sbagliato considerare mendoso l’occuparsi solo di grandi temi. La vita è composta di ferialità, e i tasselli del quotidiano ci fanno deragliare verso determinate direzioni in base a molti fattori, tra cui anche quello culinario. Sì, siamo felici o meno in base a quegli “accidenti“, a quei fattori “incidenti” che incrociamo spesso pensando ad altro.

Scommettiamo che in molti, questa sera, la cucineranno? La carbonara è così: è l’amicizia fatta pietanza, la convivialità colorata (il rosso, il giallo) che ti interpella gli occhi prima ancora che solleticarti le papille. Unisce, fa sorridere, trova tutti d’accordo. Se vi pare qualcosa di secondario o di banale…