RUBRICA, Medico: la nostra sanità

RUBRICA, Medico:  la nostra sanità

Prandini Valentino, chirurgo,  camuno d’origine, da oltre vent’anni abita a Paderno Franciacorta, attualmente lavora presso la Divisione di Chirurgia generale dell’ospedale Poliambulanza di Brescia in qualità di Responsabile della chirurgia laparoscopica

Concediamo a Montesquieu che il clima influenzi i popoli e le loro abitudini, ma ciò non dovrebbe valere per la salute dei cittadini, almeno lo spero. In questa pausa estiva durante i miei viaggi attraverso lo Stivale, mi sono divertito (si fa per dire) a valutare le realtà sanitarie dei posti nei quali soggiornavo. Mi sono accorto, e questo può sembrare scontato, che al di fuori delle eccellenze che ben conosciamo, la sanità in molte regioni e stati diventa un ingombro, piuttosto che una tutela, un diritto, una garanzia. Gli ospedali fortunatamente fino ad oggi possono offrire servizi ed accoglienza a tutti con la possibilità di investimenti sia nel privato che nel pubblico, soprattutto a favore del rinnovamento tecnologico e della formazione del personale (gli ospedali lombardi ne sono un grande esempio). Ma se ci si allontana, si scende lungo gli appennini, ci si accorge che gli ospedali si fanno più rari, più vecchi e più poveri (con le dovute eccezioni che confermano la regola). A San Marino, a Pescara, a Sassari, a Trapani fino ad arrivare al mio caro ospedale di Bor a Bissau, i problemi aumentano esponenzialmente, con la mancanza di risorse e le lotte impari che bravi sanitari combattono da novelli don Chisciotte. Potremmo quindi domandarci quanto sia giusto che regioni ricche abbiano coperture sanitarie migliori e viceversa; ma la salute non dovrebbe essere un obbiettivo al quale tutti concorrono? La spartizione della torta per la sanità è nazionale, tutti dovrebbero sfamarsi, o no? E invece vedo una sanità che corre a due, tre velocità, come sulle corsie delle autostrade (a proposito ho scoperto con piacere che in alcune regioni italiane non si pagano le autostrade). Lo sforzo di noi sanitari di oggi dovrebbe essere quello di colmare queste disuguaglianze e combattere ognuno con le armi in possesso, tecnologiche o no, abbondanti o scarse che siano. Buona cosa sarebbe, partendo dalle nuove generazioni di me-dici ed infermieri, ridare forza ed efficacia alla vocazione di un lavoro affascinante quale il nostro, dare senso vero e nuovo a quelle parole che talvolta la routine riduce a slogan privi di significati veri: visione mission, possibili, anzi doverose! Sono appena state fatte le selezioni per l’accesso a Medicina, quanti giovani hanno sperato, faticato, gioito o pianto. E’ da loro che bisogna ripartire per dare nuova linfa al giuramento di Ippocrate. Ho visto nei loro occhi una ripresa di entusiasmo, una maggior voglia di svolgere una professione al servizio degli altri, che non potrà mai essere “un impiego”, la sola ricerca di un compenso.

E speriamo bene!