Morte dello scienziato Goodall, intervista a Salvatti

Morte dello scienziato Goodall, intervista a Salvatti

Lo scienziato David Goodall a 104 sceglie il suicidio assistito, porto poche ore fa. Abbiamo chiesto l’opinione del nostro direttore Matteo Salvatti in proposito.

 

Allora, direttore, come commenti la morte dello scienziato David Goodall che, poche ore fa, a 104 dall’Australia corre in Svizzera per iniettarsi un barbiturico e porre fine ai suoi giorni?

SALVATTI: “Non ci vedo nulla di strano. Come è noto per me il biotestamento, il suicidio assistito, è tutto troppo poco. Io sono a favore dell’eutanasia senza mezzi termini”.

 

DOMANDA: “Tu sei un fervente cattolico e hai sempre affermato che questo è l’unico punto dove ti discosti dal magistero della Chiesa, ma reputi possibile aderire a una fede solo in alcuni punti? Chi crede che in un Dio crede nella sua perfezione, quindi non può sbagliare, se no crolla tutta la costruzione, no? Quindi come fai a collimare questa tua posizione con quella della Chiesa?”

SALVATTI: “No, no, intendiamoci. Io credo che l’eutanasia sia un diritto per gli atei che non devono essere tenuti ad abbracciare nessuna religione. Per i credenti deve essere una opzione di libertà. Come Dio mi lascia libero di uccidere e di rubare, così devo essere libero di porre fine ai miei giorni. Sono consapevole che è sbagliato, tuttavia penso, come ho scritto in un aforisma, che la fretta non sia un peccato così grave. Personalmente sono sempre stato frettoloso nella vita”.

 

DOMANDA: Spiegati meglio

S: “Massì. L’eutanasia la vedo un po’ come il bambino che non ne può più di stare all’asilo dove i genitori l’hanno relegato e, decide di sua sponte di scappare. Ecco, appena la mamma lo trova lo sgrida, gli dice che non avrebbe dovuto farlo e attendere il momento in cui sarebbe venuta a prenderlo, ma ecco, già in quell’istante lo abbraccia perché lui è scappato per amore, perché non vedeva l’ora di stare con lei e non lo manda in eterno in punizione. Dunque non credo proprio che chi sceglie l’eutanasia andrà all’inferno. Se fosse stato bene non si sarebbe ucciso e il Dio dell’amore non è un sadico che tortura per sempre chi non ne poteva più”.

 

D: “In effetti in certi casi di patologie terminali in molti si chiedono che senso abbia il continuare a soffrire. Ci si chiede se a prolungarsi è la vita o solo la sofferenza”

S: “Quello senz’altro. Ma io andrei ben oltre. Perché solo nei casi di malati terminali? A me è piaciuto molto l’atto di questo scienziato, perché non soffriva di alcuna patologia cronica, eppure liberamente e lucidamente ha scelto di interrompere qui la sua vita, sebbene, certo, senectus ipsa est morbus, la vecchia è di per se stessa una malattia. Un uomo di 104 anni è ontologicamente un malato terminale anche se sta bene. E’ esattamente come un trentenne con un tumore con metastasi. Che aspettativa di vita ha davanti? Qualche settimana? Qualche mese? E facilmente abbracciando presto sofferenze. Dunque perché impedirgli di chiudere il romanzo? Ecco, perché anche chi concepisce l’eutanasia normalmente la contempla solo in casi disperati?”.

 

D: “Perché lo Stato deve tutelare la vita”.

S: “No, deve tutelare i cittadini. Lo stato non può essere padrone delle vite. E di fatto spesso lo è. Si pensi addirittura laddove vige la pena di morte. La morte come pena, sì. Come autodeterminazione, no. Assurdo.”

 

D: “Ad ogni modo c’è differenza tra suicidio assistito e eutanasia e interruzione delle cure. Un conto è smettere di curarti, altro è se tu prendi qualcosa che ti porta al decesso, altro ancora è se qualcun altro ti uccide”.

R: Questioni di lana caprina. Il beverone lo prepari tu e lo bevo io, la puntura me la fai tu, la facciamo insieme…suvvia non giochiamo. Conta la volontà. Fine della trasmissione. La vita è un diritto. Non un obbligo. Non si può essere obbligati a vivere. E un altro non può decidere i motivi che per me sono validi per fare le valigie.”

 

D: “Dunque tu ti immagini in Svizzera in una stanza a morire.

S: “Perché no? Se mai dovessi giungere al punto di non farcela più e Dio non dovesse ascoltare le mie preghiere di venire a prendermi, come dicevo prima, scapperei dall’asilo.
E’ proprio vero: non è triste. Triste è se non te lo lasciano fare. Mi piacerebbe andarmene dopo pranzo, in una stanza con dei tulipani e un’essenza di Ginestra e Iris. Mangerei un piatto di ravioli al brasato, un piatto di vitel tonné, pane fritto, qualche ostrica e per finire una fetta di Baumkuchen, il tutto con una bottiglia di Cabernet Sauvignon e un passito.”

 

D: “E poi?”

S: “E poi vorrei accanto le poche persone che ho davvero amato nella mia vita e fortunatamente sono quelle che hanno corrisposto al mio amore. Mi piacerebbe mi tenessero la mano e mi leggero i miei passi preferiti della Bibbia e dell’Apparecchio della buona morte di S. Alfonso de Liguori, mentre come sottofondo la “Passione secondo Matteo” di Bach. Ovviamente indossando un abito di classe e la cravatta rossa delle grandi occasioni. Poco dopo io tornerei ad essere loro vicini, come si sente vicino chi ha oltrepassato la riva”.

 

D: “Fa venire i brivi un racconto così lucido”

S: “Apposta lo descrivo plasticamente. Perché bisogna sconfiggere ogni brandello di idiosincrasia. La morte non deve essere temuta o ostracizzata come al giorno d’oggi. Ne parlo anche nel mio nuovo romanzo “L’attivista dell’infelicità” dove il protagonista decide appunto di aprire un’agenzia di onoranze funebri.”

 

D: “Ad ogni modo in Italia la vedo dura”.

S: “Attualmente sì. Ed è un male. Marina Ripa di Meana prima di morire ha sostenuto che le cure palliative, di cui mi occupo anche sul cartaceo di questo mese, sono bastevoli. Forse per chi vuole vivere e non soffrire. Ma per chi vuol morire è tutto un altro discorso.”

 

D: “E se un tuo caro dovesse scegliere questa strada, non la troveresti egoistica? Non ti opporresti?”

S: “Tenere in vita una persona che vuole andarsene non è amore verso di lei, ma solo egoismo. Non è difficile da comprendere. Non asserisco che non soffrirei, ma certo anteporrei la sua volontà. E’ già capitato più volte con persone care che mi confidavano che erano a conoscenza del loro stato terminale. Proprio perché le amavo, come Cappato con DJ Fabo chiesi: devo aiutarti? Ma loro mi hanno espresso che preferivano stessi loro vicino con la preghiera e il conforto. E così ho fatto fino alla fine.”

 

D: Qualcuno potrebbe asserire in fin dei conti che un suicidio assistito è comunque una morte e lo Stato deve opporsi.

S: “No. E’ una contraddizione legislativa. Pensiamoci: se io adesso cercassi di ammazzarmi e qualcuno dovesse accorgersi e mi soccorrerebbe, io, una volta tornato in vita, non verrei accusato di tentato omicidio (di me stesso). Non è reato quindi uccidersi, giusto? Altrimenti tentare di farlo e poi non riuscirci dovrebbe prevedere delle pene, cosa che non avviene. Dunque, se vi è libertà di poter compiere il gesto, perché poi de facto ostacolarla e non acconsentirla?”

 

di Giorgio Baronchelli